martedì 12 luglio 2016

ROMA 46 D.C. VENDETTA di Adele Vieri Castellano

ROMA 46 D.C. VENDETTA di Adele Vieri Castellano

Contraccambiare il male ricevuto con il male peggiore. Questo è ciò che ha spinto un uomo misterioso a compiere l’atto più nefando. Marco Quinto Rufo questa volta non dovrà combattere guerre, né affrontare feroci barbari ai confini dell’Impero, perché la vendetta ha bussato alla sua porta e pretende un tributo di sangue. Non il suo, né quello di sua moglie ma quello di un essere  indifeso che il vile, oscuro, nemico gli ha sottratto. Lui che non teme nulla e nessuno dovrà  affrontare il Male Supremo, faccia a faccia, in una partita a due che avrà un solo vincitore ma non un solo protagonista. Perché in quei giorni oscuri e terribili, l’amore riuscirà a sconfiggere l’odio e un suo germoglio nascerà nel cuore dell’arciere siriano Arash Tahmurat…

Marco Quinto Valerio Rufo ti dice niente?
Personalmente è una garanzia. Il senatore romano, ma prima ancora il legionario, un guerriero, la cui forza e intelligenza traspaiono ad ogni movimento. Fin dall’inizio Rufo ha affascinato oltre che per il suo aspetto, soprattutto per il suo carattere e per il gran cuore che in questa occasione viene messo davvero a dura prova. 
Rufo è abituato alle battaglie crude e intense, quelle in cui ha guardato in faccia la morte tante volte e altrettante l’ha domata lasciando ai suoi nemici il privilegio di assaporare l’amaro abbraccio. 
Lo abbiamo conosciuto, all’inizio di questa meravigliosa serie, come guardia del corpo di Caligola, e una volta a Roma, si è lasciato catturare dalle spire dell’amore. Livia lo ha stregato, fin da subito, riuscendo alla fine ad ammansire il lupo.   
Rufo è il capo indiscusso anche quando veste la toga da senatore e parla all’imperatore Claudio come se fosse un suo pari. Si è guadagnato il rispetto del divino Cesare con l’onestà e la lealtà, e con esso anche l’invidia dei suoi pari. 
Rufo è un marito fedele, un padre amorevole che diventa spietato e senza misericordia quando affronta il nemico. Quando è chiamato a combattere la battaglia più aspra, non delude. Si rivela marito compassionevole e padre ferito alla costante ricerca di riprendersi ciò che gli è stato tolto e salvare quello che gli rimane. 
Tutto precipita all’improvviso: la notte avvolge la casa del senatore e la gelida e spietata mano del nemico arriva a colpire proprio al cuore della sua famiglia, in maniera inaspettata. Non ci può essere un orrore peggiore della perdita di un figlio, lo comprende bene Rufo ma ancora meglio Livia. Nel suo dolore composto appare maestosa e decisa. Non abbandona l’idea di essere sconfitta, la sensazione di aver perso una parte del suo cuore non la sfiora che per alcuni momenti. Il suo primo pensiero è quello di lasciarsi morire, è comprensibile, ma subito dopo, grazie anche al supporto del marito, reagisce come solo una madre sa fare. Dopo il primo lungo attimo angosciante in cui il mondo scompare, la vita perde ogni significato e non esiste alcun appiglio cui agganciarsi per restare, c’è sempre l’amore, incondizionato e disperato, la roccia su cui salire per prendere fiato e ricominciare a sperare. Rufo e Livia vivranno momenti d’angoscia e di tensione, ma mai saranno abbandonati dalla speranza e dalla forza dell’amore che li spingerà ad andare avanti uniti come non mai.
“Fa di me ciò che vuoi, non mi importa. Ma sappi che, se mi impedirai di seguirti, richiudendomi da qualche parte, non ti perdonerò mai. Hai capito, Marco Quinto Rufo? Mai.”
 
Rufo e Livia non sono soli nella ricerca più dura della loro vita. I compagni, i guerrieri, coloro che si sono distinti al fianco del condottiero germanico in tante battaglie, ora si uniscono all’uomo colpito nel profondo dell’animo e insieme rimarranno fino alla fine. Tra questi ritroviamo molte facce conosciute come Tassus, fedele amico di Rufo.  Il suo aiuto si rivelerà ancora una volta prezioso; l’arciere siriano: Arash Tahmurat, anche lui pronto a sacrificarsi per il bene della causa. 
Ben presto il suo cuore palpiterà non solo per l’ardore della lotta, ma anche per l’amore puro e incondizionato nei confronti di una fanciulla, un’eletta. Mirta, questo è il suo nome, vittima inconsapevole della cattiveria umana, si adopererà affinché la colpa della madre venga cancellata e lo farà con coraggio, tipico delle donne del panorama dei romanzi storici della Castellano. Dalla crisalide dell’innocenza, ben presto scaturirà una donna determinata che per amore e per giustizia si trasformerà nell’eroina del romanzo. I due protagonisti scopriranno pian piano quanto sia inspiegabile e forte il sentimento che li legherà per sempre.
“Ti domandi perché il sole sorge, i fiumi vanno verso il mare o perché la luna illumina la notte?”
C’è poi la piccola Valeria che incarna i pregi e le doti dei suoi genitori. Lontana dal suo ambiente e dai suoi cari, vive la sua avventura senza perdersi d’animo. 
Per la prima volta, da quando ho memoria, devo ammettere di non aver incontrato nel personaggio negativo niente di affascinante. Impossibile quando ci trova davanti al malvagio per eccellenza, perché non c’è nulla di attraente in un disgraziato, passatemi il termine, che rapisce un bambino. Allora ci si esalterà alla fine e magari ognuno di noi si immedesimerà in Rufo immaginando i modi più atroci possibili in cui la mano possa distruggere l’infame.
La forza dell’amore così come la fede e l’amicizia sono le componenti che animano la storia che si snoda attraverso dialoghi e sensazioni che ci colpiscono e ci prendono fino al sospirato epilogo. A proposito dell’epilogo, sono ansiosa di rivedere Messalla e Raganhar e affermo che anche io, come il principe germanico, non ho dimenticato la notte da Calpurnia, ma per alti motivi, ovvio.

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